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“Sapiens”: intervista a Giuseppe Semeraro

a cura di Omar Manini

Abbiamo sentito Giuseppe Semeraro, regista di “Sapiens” in scena nel circuito ERT FVG teatroescuola, durante una passeggiata nel centro di Udine.

“C’ero già stato con un tempaccio, ma oggi me la sto godendo. Sono anche più rilassato dell’altra volta”.

Si sa, Udine per i non friulani, e a seconda dell’età, è spesso il posto dove “ci ho fatto il militare”, “piove sempre”, “boh, da qualche parte a nord”. E a seconda delle annate calcistiche “ah sì, l’Udinese!”.

Invece, Udine è anche intrinsecamente bella, ricca di storia, a misura di persona, con molte qualità. E solo chi ci viene la scopre e se ne stupisce.

“Siamo arrivati ieri sera e oggi avevamo giornata buca così, in attesa della replica di stasera di un mio monologo su Danilo Dolci, ho deciso di godermi la città”.

Ottima scelta! Nel nostro circuito porterai “Sapiens”, cosa vedremo sul palco?

È nato prima della pandemia; leggevo di ricerche di una quindicina di anni fa che acclaravano la presenza di una percentuale del corredo genetico dell’uomo di Neanderthal nel nostro dna. A differenza di quanto si pensasse, questi studi hanno messo in luce una compresenza coabitativa delle due specie, nella quale si sono accoppiati e riprodotti fino all’estinzione misteriosa della specie più “primitiva”. Mi interessava moltissimo l’aspetto evidenziato: che i Neanderthal avessero nel loro agire un rispetto maggiore a quello dei sapiens riguardo all’ambiente e all’habitat. Da qui abbiamo iniziato una ricerca e uno studio approfonditi con Valentina Diana (drammaturga dello spettacolo, nda) sull’archeologia, l’evoluzione e abbiamo architettato una storia.

Quale?

Di base una semplice vicenda alla “Romeo e Giulietta”: in scena nasce una storia d’amore tra l’ultimo dei Neanderthal e una donna sapiens. Alla fine mostriamo i conflitti tra due clown, spesso molto divertenti.

Si mette in luce quanto, oltre che alla ragione e alle conoscenze, l’evoluzione debba gran merito all’incontro con il diverso …

È proprio questo il cuore del lavoro, e lo spettacolo si chiude con la suggestione delle mani dei due protagonisti che lasciano un segno indelebile sulla grotta, suggellando così sia la loro storia d’amore sia la nostra Storia.

Che è sempre affascinante e capace di sorprese …

Certamente, ma è stato molto difficile scriverlo perché uno spettacolo sugli uomini primitivi è sempre a rischio “Flintstones”. Per questo abbiamo deciso di inserire i nostri protagonisti in uno scenario astratto, bianco. Abbiamo lavorato molto sulle ombre per dare profondità poetica e suggestiva all’immaginazione dello spettatore. Ci sono parti in cui si dipinge dal vivo, altri nei quali vengono mostrati momenti “magici” quando frequentano le caverne; le parti più propriamente attoriali, invece, sono caratterizzate dal nostro linguaggio classico, quello del teatro fisico, della clownerie.

Perché la scelta di svuotare la scena, spogliandola?

Perché per me era difficile raccontare quel mondo magico mettendo elementi scenici – grotte, alberi, natura finta – senza rischiare di andare fuori strada rispetto al senso vero dello spettacolo. Per questo ho puntato, invece, sulle ombre, che sono tutte artigianali.

“Sapiens” vi sta dando soddisfazioni?

Sì, perché non è uno spettacolo fine a sé stesso, in quanto quello che trasmette è che la vita è l’arte dell’incontro. E ci riporta all’oggi, a una possibilità di guardare il mondo in maniera diversa, e alla consapevolezza che noi sapiens abbiamo un approccio molto aggressivo, utilitaristico, rispetto all’ambiente, a come lo sfruttiamo. “Sapiens” racconta una storia antica, ma il suo tentativo è quello di parlare anche a noi, oggi. Poi ci ha permesso di conoscere tante cose nuove proprie del nostro lavoro, ma che non avevamo ancora mai esplorato, come l’arte delle ombre. È stato un percorso casuale, ma dove ci abbiamo messo tantissima voglia e insistenza, determinazione.

Quindi siete evoluti anche voi! Penso sia la cosa migliore di un lavoro o di una passione: quella di maturare insieme all’esperienza, nell’esperienza.

Assolutamente sì, e si può fare solo attraverso degli errori, ma ci vuole il tempo per sbagliare. Se ti dai del tempo, il caso ti fa scoprire delle cose anche quando ti sembra tutto perduto.

“Sapiens” è un progetto di ampio respiro che vede la collaborazione  di numerose realtà teatrali e un folto cast. Una rarità … cosa ha apportato questa cooperazione?

Queste realtà hanno contribuito a creare una rete artistica che ci ha visti come ospiti. Luoghi che ci hanno permesso di avere strutture dove fare le prove, arricchirci con il confronto, trovare un riscontro in itinere. Ecco, sono occasioni di crescita insieme, importanti perché da soli non si va da nessuna parte.

In conclusione è uno spettacolo critico sul “chi siamo” o fiducioso sul “chi saremo”?

Eh, è difficile dirlo. È sicuramente critico. Ma anche fiducioso, perché ci ricorda che noi veniamo anche da quell’incontro e che nel nostro sangue abbiamo un po’ di quel Neanderthal che si è istinto e quindi un piccolo seme di bene. La speranza è quella di non dimenticarci di quell’incontro.

La sera dell’intervista abbiamo conosciuto meglio la sensibilità artistica, la delicatezza e la forza interpretativa – sfumata, sincera e potente – di Giuseppe e ne siamo rimasti letteralmente folgorati.

Il “Sapiens” che ci ha raccontato è sicuramente uno spettacolo che vive dei suoi toni, dove il comico accarezza la sfera intima; un percorso dai forti contrasti, che sa tenere sempre alto il filo dell’interesse e che dice molto più di quello che mostra.

Sapiens

di Valentina Diana
regia Giuseppe Semeraro
con Dario Cadei, Silvia Lodi, Otto Marco Mercante, Cristina Mileti, Francesca Randazzo, Giuseppe Semeraro
bande sonore e musiche Leone Marco Bartolo
consulenza coreografica Barbara Toma
consulenza teatro d’ombre Silvio Gioia
disegno luci Davide Arsenio
costumi Cristina Mileti, Francesca Randazzo
scenografie Dario Cadei, Francesca Randazzo

Sapiens è stato visto dagli alunni e dalle alunne di alcune scuole primarie di Sacile e Monfacone.

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