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“Giovanni senza parole”: intervista a Catia Caramia e Andrea Bettaglio

a cura di Omar Manini

Lo spettacolo Giovannin senza parole ci catapulta in un paese dove gli ordini sono tassativi. “Da tempo governa un capo, che ha assoggettato al suo potere tutto il popolo” – ci racconta Catia Caramia, drammaturga – “e che ha anche il potere di scegliere che cosa il suo popolo può e non può dire. All’interno di questo paese c’è una fabbrica delle parole che lui fa scorreggere a suo piacimento. Un giorno, in questo paese, arriva Giovannino. Non parla, ma ha come sua forma di linguaggio la musica e, per una serie di vicende, finisce nell’officina cambiando le sorti del paese”.

Come descrivereste lo spettacolo?

“Giovannin senza parole” un è un apologo buffo sul tema della dittatura. Diciamo che ci sono due grossi argomenti, che abbiamo voluto mettere insieme in questa storia: il linguaggio e l’esercizio della forza.

Uno spettacolo dolorosamente attuale …

Sì, attualissimo, ed è potente scoprire nei dibattiti coi ragazzi come questa questione risuoni molto, anche nei più piccoli. Quello che succede a livello macroscopico si riflette anche nelle dinamiche scolastiche, in molte forme di bullismo di cui ci parlano.

Attraverso quali strumenti artistici lo mettete in scena?

La nostra compagine si occupa sia di teatro sia di circo contemporaneo e abbiamo cercato di dare spazio e voce a tutte le caratteristiche che ne derivano. C’è un gioco visivo – le scene di cartapesta sembrano dei muri e, spostate e ricollocate, ci consentono di creare i vari ambienti della storia – molto vicino a quello dei bambini, che li cattura e ci regala tanta attenzione. C’è la musica dal vivo con una piccola banda e c’è un po’ di giocoleria, totalmente integrata al servizio del racconto. Senza dimenticare la clownerie che, attraverso la manifestazione della purezza d’animo e della leggerezza, fa da contraltare critico all’arroganza ottusa del dittatore.

Si usano molto le dinamiche comiche, addirittura dello slapstick …

Sì, sottolineano la dimensione giocosa dello spettacolo, perché pensiamo sia la formula migliore per tenere gli spettatori dentro la storia. Ma non è solo questione di essere godibili, è un’importante mezzo di riflessione: in un momento il pubblico viene coinvolto dal Capo, diventando esso stesso parte del paese. E il Capo gli chiede di acclamarlo, ottenendo una risposta positiva. Così pubblico, in maniera divertente e divertita, si trova a sostenere il tiranno e questo fa riflettere gli spettatori sulla forza manipolatrice della tirannia e quella trascinante del gruppo. La dimensione giocosa è perfetta perché cattura, trascina ed esalta, per contrasto, il lato critico e drammatico.

Catia, quanto è importante immaginarsi scene, luci, ambientazioni già a partire dalla stesura di un testo teatrale?

È fondamentale: per esempio questa storia è nata in parallelo con la nascita della scenografia e del gruppo stesso. È proprio dall’unione del gruppo creativo nello spazio che ha preso vita lo spettacolo. Man mano si è definita la scrittura, a partire dalle improvvisazioni, dalle evidenze che emergevano, lasciandosi toccare dall’esperienza pratica.

Anche nella creazione, quindi, così come emerge nella vicenda di Giovannin, l’errore è l’essenza dello sviluppo?

Sì, e noi in questa dinamica ci siamo fatti ispirare da Rodari che ne è stato il maestro indiscusso e ha ridefinito l’idea della storia e della scuola. Quest’aspetto viene percepito molto e viene sempre a galla nella discussione finale con i ragazzi e i docenti alla quale teniamo moltissimo: la difendiamo con forza perché aiuta a far crescere la riflessione sullo spettacolo, per loro e per noi.

Andrea, qual è il tuo apporto sulla drammaturgia?

Lo spettacolo è nato sotto il periodo covid e la sua genesi è stata necessariamente lunga. Questo ci ha dato il tempo di pensare, creare, provare, limare i dettagli ed è stato fatto con i contributi orizzontali da parte di noi quattro, che, oltretutto, siamo grandi amici. Alla fine, nella necessaria assegnazione dei ruoli, abbiamo guardato alle competenze.  Catia e io ci siamo solo definiti regista e responsabile della drammaturgia, ma questo spettacolo è assolutamente un contributo distribuito in parti uguali.

Perché il teatro è importante per comunicare con i ragazzi e ai ragazzi?

Catia: Perché, permettendo di empatizzare, apre il canale dell’ascolto e dell’accoglienza dell’emozione. È un grande strumento per avvicinarsi all’altro e alle storie, quindi alle vite degli altri che, comunque, si scopre come risuonino con la nostra personale. Credo che muovendo tutto questo mondo possa aprire a riflessioni, domande ed è bello pensare che si stia coltivando un pubblico che un domani sarà un pubblico adulto.

Andrea: io sono un novello del teatro ragazzi. Mi ha colpito come, a differenza del teatro per i più grandi, all’inizio ci si trovi a spiegargli che, a differenza di quello che sono abituati a vedere sullo schermo, qui si trovino davanti a persone in carne e ossa, che sono lì per loro, per qualcosa di speciale che richiede attenzione e che questa cosa si fa tutti insieme …  è affascinante perché si può dare per scontato, ma i più piccoli vanno abituati a questo in quanto ormai sono sempre meno comunità, ma più dentro al rapporto con lo schermo. È importante lanciare il messaggio che solo con questo scambio si può creare qualcosa di unico, pulsante, emozionante.

Giovanni senza parole

di Crest cooperativa teatrale
drammaturgia Catia Caramia
regia e scene Andrea Bettaglio
e il determinate contributo visivo, musicale, totale di Michelangelo Campanale, Roberto Copertino, Vito Marra
con Nicolò Antioco Ximenes, Andrea Bettaglio, Catia Caramia, Nicolò Toschi
spettacolo consigliato dai 5 anni in su

Giovanni senza parole è stato visto dagli alunni e alunne delle scuole primarie di Sacile, Grado e Tolmezzo.

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