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“Barbablù e rossana”: intervista a Monica Mattioli

a cura di Omar Manini

Monica Mattioli è fondatrice e anima dell’omonima compagnia teatrale lombarda;  con profonda sensibilità, umana e artistica, in “Barbablù e Rossana” ci regala un’esperienza teatrale che racconta di un mondo immaginario, ma parla di noi, stimolandoci a riflettere su come viviamo le relazioni.

Monica, com’è lo spettacolo?

È tratto dalla fiaba popolare “Barbablù” di Charles Perrault ed è uno spettacolo fatto di immagini forti, poetiche, di oggetti che parlano, dove il testo interagisce con le musiche, le luci, le azioni. È uno spettacolo che ha più piani di lettura e che può essere apprezzato da tutti perché utilizza diversi tipi di linguaggi: la parola, il corpo, la voce che cambia, …

Quali sono gli elementi che hai voluto mantenere e trasmetterci dell’originale?

Nell’elaborare la storia ho cercato di renderla il più attuale possibile, ma mantenendo sempre il sapore forte della fiaba. Una cosa che non ho assolutamente cambiato è il finale; insieme a una psicoterapeuta, che ha lavorato molto nei centri antiviolenza, ci siamo poste molte domande sul suo senso intrinseco … potevamo cambiarlo facendo diventare Rossana eroina di sé stessa, oppure lasciare che venisse aiutata dalle sorelle. Abbiamo preferito questa seconda ipotesi per sottolineare l’importanza della richiesta d’aiuto come elemento di forza e di coraggio, non di fragilità o debolezza come spesso viene intesa.

Com’è il tuo Barbablù?

È un personaggio con una barba molto strana, che nello spettacolo è fatta di corde blu appese a un cappello; ha anche dei baffi dipinti d’oro che ne simboleggiano la grande ricchezza. Le corde della barba scendono verso il basso e in certi momenti danzano con la protagonista, che si sente protetta da questo abbraccio senza rendersi conto che, invece, la stanno ingannevolmente imprigionando e soffocando a poco a poco.

Sul palco ci sei tu con pochi altri elementi: perché questa scelta di spogliare la scena?

Gli oggetti presenti sono parte della drammaturgia, diventano anche loro personaggi. Io non utilizzo mai le scenografie decorative, quelle che fanno da cornice. I pochi elementi sono importanti per raccontare la storia. A volte i ragazzi mi chiedono “perché ci sei solo tu? perché non hai altri ragazzi?”. Io rispondo che se avessi coinvolto altri attori lo spettacolo non sarebbe stato quello a cui hanno assistito, ma sarebbe stato diverso, un’altra cosa. A livello personale, invece, dover trasformare voce e attitudine per diventare altri posso considerarla una stimolante sfida professionale.

Come attrice utilizzi molto la mimica …

Sì, provenendo dal terzo teatro, lavoro molto con il corpo e la fisicità diventa fondamentale. Ci sono spettacoli in cui faccio anche sette-otto personaggi; quando indosso un oggetto che li identifica cambio voce, mi si trasforma il corpo, l’attitudine … mi immergo in pensieri diversi, spesso opposti, e devo raccontarli con verità, trasudarne i vissuti senza fare emergere le mie inclinazioni personali. In Barbablù devo sforzarmi a immedesimarmi, in poco tempo, in lui – uomo, assassino, responsabile di violenza psicologica – e in quello che vuole lei. Sono passaggi forti, ma fondamentali per raccontare la storia e renderla credibile facendola arrivare alla pancia e al cuore degli spettatori.

Come fai a entrare nei panni di un personaggio così negativo come Barbablù?

Certo, è un personaggio negativo, ma io parto dal presupposto che deve saper affascinare Rossana. All’inizio la gente parla male di lui, ci sono voci maligne sul personaggio, ma io sono partita dal suo fascino, quello che ti illude, che ti acceca con i suoi modi sicuri e protettivi e poi, lentamente, fa uscire il vero Barbablù che ti costringe, ti fa del male.

Possiamo considerarlo uno spettacolo metaforico sulle relazioni?

Assolutamente sì, è uno spettacolo sulle relazioni tossiche. Io racconto di un lui e di una lei, ma è un modo per parlare ai ragazzi delle relazioni tossiche che si instaurano a ogni livello, anche solo con gli amici stessi. È un argomento molto sensibile per i ragazzi, che poi emerge spesso parlando con il pubblico.

Qual è l’idea di teatro-ragazzi per la Compagnia Teatrale Mattioli?

Dall’inizio, nel 1986, il teatro mi ha aperto delle porte per portare delle tematiche sociali forti anche ai bambini e ai ragazzi, riuscendo ad arrivare anche agli adulti. È proprio la mia idea di teatro: colpire l’immaginazione a livello trasversale. Un giorno ho incontrato uno signore che ha definito questo spettacolo “il regalo di un atto politico”. Mi ha fatto molto piacere perché per me il teatro è sinonimo di urgenza e attualità, che vanno proposte con un linguaggio e dei pesi giusti. E queste intuizioni nascono tutte da laboratori teatrali che sono necessari per sporcarsi le mani, per trovare del materiale. Io voglio credere nei cambiamenti e il teatro ha la possibilità di colpire la pancia e il cuore delle persone e seminare il germe di un’idea nuova di futuro.

Non pensi che sia, appunto, una semplice idea, un’utopia?

Ieri mi è successa una cosa che non dimenticherò mai, perché mi ha toccato nel profondo: un ragazzo di sedici anni, dopo aver visto lo spettacolo, mi si è avvicinato e ha iniziato a ringraziarmi: “Ho capito tante cose, mi sono rivisto in Barbablù!” ed è scoppiato a piangere. Io l’ho abbracciato … abbiamo iniziato a piangere insieme … continuava a dirmi “Grazie, grazie!”. È stato un momento bellissimo, che dà senso a tutto, a sopportare ogni fatica e a credere nella forza necessaria del teatro.

Barbablù e Rossana

ddi e con Monica Mattioli
regia Monica Mattioli e Alice Bossi
consulenza Dott.ssa Viviana Seveso
costumi Barbara Livecchi
scenografie Elena Colombo
disegno Luci Giuseppe Sordi

Barbablù e Rossana è stato visto dagli alunni e dalle alunne di alcune scuole secondarie di I grado di Maniago, San Giorgio della Richinvelda e Valvasone-Arzene.

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