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“A pesca di emozioni”: intervista alla Compagnia Eccentrici Dadarò

a cura di Omar Manini

La compagnia teatrale Eccentrici Dadarò di Varese ha prodotto lo spettacolo “A pesca di emozioni” di Umberto Banti, Simone Lombardelli (anche attori) Dadde Visconti (autore e regista). Li abbiamo sentiti per farci raccontare, prima di godercelo in prima persona, questo theatrical cartoon in carne e ossa, “semplice e leggero come i palloncini”, che tratta il tema centrale dell’identificazione e del riconoscimento delle emozioni.

A cosa assistiamo in “A pesca di emozioni?”

Umberto: “In estrema sintesi vediamo due personaggi, di fatto due pescatori, che partecipano ad una gara di pesca. Attraverso questa situazione giochiamo a far vedere le emozioni di questi due personaggi e come cambiano. Il linguaggio è molto semplice: usiamo il codice della clownerie proprio per attraversare in modo trasversale in pubblico. Originariamente ci eravamo orientati con i bambini delle materne ma poi, proprio nell’esperienza, ci hanno detto che questo poteva essere uno spettacolo ottimo anche per il primo ciclo della scuola primaria. Era vero perché anche la risposta dei bambini di 6-7 anni è sempre ottima”.

Ognuno di voi potrebbe raccontarci un po’ il suo punto di vista sullo spettacolo?

Simone: “È uno spettacolo che mi interessa per la tematica delle emozioni raccontata nella forma della clownerie, quindi usando un linguaggio fisico, semplice e diretto con i bambini piccolini. Da attore è stato un lavoro molto interessante perché, mentre nel nostro quotidiano siamo un frullio continuo di emozioni che cambiano continuamente a seconda di cosa ci capita, nello spettacolo dobbiamo mantenere la stessa emozione per un tot di tempo, qualsiasi cosa accada in scena.”

Dadde: “Dal punto di vista registico, e comunque della compagnia, perché lo spettacolo nasce da tre teste pensanti, ci siamo molto interrogati sulla tematica delle emozioni, soprattutto subito dopo questo periodo di covid. Troviamo importante il fatto di portare a queste nuove generazioni il teatro, che forse non avevano neanche mai visto finora. È stato un po’ come ripartire da zero: questo pubblico non è più abituato al teatro … anche il teatro è allenamento, educazione. Ecco allora perché abbiamo voluto fare uno spettacolo molto semplice, dove si lavora con la clowneria attraverso il linguaggio grammelot – con poche parole, ma soprattutto tanti versi – e le emozioni riconosciute e riconoscibili attraverso dei palloncini colorati che indicano l’emozione senza dargli un nome, ma solamente con un colore. Dal punto di vista registico abbiamo affrontato il lavoro come un gioco molto divertente, sensazione che abbiamo voluto trasferire anche nel lavoro finito: definivamo delle scene e poi estraevamo le emozioni su cui ognuno doveva lavorare.”

Umberto: “Volevamo fare uno spettacolo semplice, anche con l’obiettivo che i bambini abbiano la capacità di riconoscere le loro emozioni,  come stanno, e che riescano a dichiarare ‘oggi mi sento blu, mi sento giallo, mi sento triste, mi sento allegro’. La cosa che mi aveva fatto innamorare del progetto è proprio questa. La necessità dell’educazione alle emozioni è un po’ una cosa di cui c’è sempre bisogno, ad ogni età, ad ogni livello. È uno spettacolo creato affinché i bambini, crescendo, non si perdano, come a volte si perdono gli adulti nel non riconoscere, quindi nel non saper esprimere,il proprio universo emotivo.”

Come mai la metafora della pesca?

Umberto: “Più che una metafora la cosa è nata perché la clownerie ha bisogno di una situazione dove innescare le dinamiche tra i personaggi. A noi è nata un po’ questa idea dei due pescatori, di una giornata a fare una gara di pesca dove si creasse naturalmente un confronto, una sorta di implicito conflitto, ma è stata una cosa abbastanza casuale. Direi che era anche una situazione che ci consentiva di dare un po’ di calma ai personaggi – l’idea dell’attesa di sulla riva del lago – e un modo simpatica per mettere in stretto contatto due sconosciuti che poi diventavano amici.”

Una scena essenziale, pochi elementi …

Dadde: “Non sono pochi elementi, ma gli elementi che servono a quella storia. Abbiamo lavorato a stretto contatto con lo scenografo e la costumista per ottenere una linea di rappresentazione coerente e che funzionasse in maniera organica per caratterizzare un po’ i due personaggi. Quando siamo partiti con il progetto avevamo davanti un foglio bianco dove l’unica nostra idea era ‘parliamo delle emozioni’. Ma come ne parliamo? E poi tutto è arrivato piano piano …”

Simone: “Abbiamo collaborato anche con l’Università di Padova per discutere sulle luci. Siamo giunti alla conclusione che per sottolineare i colori delle emozioni e i palloncini, le luci dovevano essere bianche. Inoltre, come colore della paura avevamo scelto il nero. Beh, quando abbiamo sviluppato una riflessione pedagogica dello spettacolo è emerso che, confondendosi con le quinte, anch’esse nere, era meglio di no, perché il messaggio percepito era quello di ‘nascondere la paura’. Ecco perché abbiamo cambiato il nero in viola.”

Come fate a non far trasparire le vostre reali emozioni e proporre l’unica che vi siete assegnati?

Umberto: (ride, nda) “Questa è stata la reale difficoltà. Il personaggio del clown, la macchietta, agevola in tal senso, perché comunque hai a che fare con un tipo di lavoro grottesco, non realista. Questi clown, un po’ da cartoni animati, si prestano a un gioco così.”

Simone: “Abbiamo lavorato molto sul paradosso e questo, a un certo punto, è diventato naturale. Però non ti nascondiamo che ogni tanto la nostra razionalità ci ostacola nell’atto creativo. Poi, quando ti sciogli un po’, diventa un gioco.”

Da quello che sento, oltre che un gruppo di professionisti, siete anche un gruppo affiatato di amici.

Umberto: “Sì, parliamo di amicizie storiche! Loro sono amici dal ’95 e hanno iniziato a lavorare insieme dal 2006.”

Penso che l’amicizia sia un valore aggiunto per conoscerci, capirsi

Umberto: “… sopportarsi!” (esclama e tutti ridono, nda)

Perché, malgrado i ragazzi generalmente adorino l’esperienza teatrale, da adulti c’è una grande disaffezione?

Dadde: (ride tantissimo, nda) “Io ho la mia idea ma non ti rispondo, anzi sì, e mi prendo le mie responsabilità! Succede perché il teatro per adulti è autoreferenziale nel suo pensarsi e questa cosa fa allontanare il pubblico. È la mia personalissima teoria.”

Simone: “Penso che i bambini lo vivano in modo giocoso, partecipativo e il bel teatro ragazzi permette questo, dà libertà di interazione, di esprimere le emozioni. È una cosa che quindi si fa in due. Poi quando si diventa adulti si perde il desiderio di partecipare alle cose, le si osserva in un modo molto più distaccato preferendo quelle che ti mettono meno in gioco, che ti toccano in superficie. È più comodo.”

A pesca di emozioni

liberamente tratto da “I colori delle emozioni” di Anna Llenas
di Umberto Banti, Simone Lombardelli, Dadde Visconti
regia di Dadde Visconti
con Umberto Banti, Simone Lombardelli
costumi Francesca Biffi
scenografia Damiano Giambelli
musiche Marco Pagani
vfc Francesca Zoccarato
produzione Eccentrici Dadarò

A pesca di emozioni è stato programmato a Tolmezzo, Latisana e Monfalcone.

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